Vienna e dopo

Sì va bene è passata una settimana piena (e anche qualcosa di più) dal rientro da Vienna dove, come ormai saprete, c’era anche Borracce di poesia, grazie ai 544 voti online che hanno significato presentare il progetto per la prima volta all’estero, data la vittoria dei Cycling Visionaries Awards nella sezione Cycling and the Arts.

 

Il fatto è che ho ancora in testa i campanelli del concerto per biciclette, sento ancora il fruscio delle migliaia di ruote alla scoperta della capitale austriaca in occasione della pedalata celebrativa, risuonano le parole ascoltate durante i giorni della conferenza, dove parlamentari europei (eh già) sindaci e vicesindaci di mezza Europa e non solo parlavano con una naturalezza quasi sconfortante di limiti di velocità, in città, a 30 all’ora, ma anche di 20, di come e quanto si investa per l’intermodalità, di come sia normale portare la bici in treno, in metro. Di quanto si faccia concretamente per gli amici pedoni. Poi, vedo ancora sfilare modelli e modelle con bici e abbigliamento dedicato nelle serate del Velostyle (sì perchè la bici è anche moda, accessori, creatività, inventiva e di conseguenza economia e non solo in questo settore).

 

Poi, mi viene ancora da sorridere pensando alle ciclabili di Vienna, da urlo. In un paio di occasioni, lo ammetto, non ho capito come funzionassero certi passaggi. Sono fatte talmente bene che non mi sembrava vero ci fosse quella piccola deviazione, debitamente segnalata, pensata proprio per far scorrere meglio. Un paio di volte sono sceso dalla bici e rimasto lì come un ebete ad osservare (spostandomi nella parte pedonale onde evitare di venire arrotato, a ragione, dalle cargo bike che vanno come un razzo). Ringrazio ancora l’autista del Suv che in un tratto di strada non ciclabile invece di attaccarsi al parafango, smadonnare e rimanere incollato al clacson ha rallentato, aspettato che segnalassi la svolta e ha poi proseguito alla stesa velocità.

 

Poi il Garden Party (che facendo cricca con gli spagnoli… i pochi italiani presenti si sono fatti riconoscere, ma sempre con stile) il concerto al Prater, la pioggia di sera e il sole bollente di giorno. Ah, non ho ancora finito di scrivere alle centinaia di persone conosciute, rappresentate dalla pila di bigliettini da visita sulla scrivania.

 

Penso ancora alla caffetteria su due ruote (sponsorizzata da una celebre marca italiana, mitteleuropea diremo) che non ho mai visto in Italia. Il quartetto d’archi che ha animato i giorni della conferenza (Rock me Amadeus!). Poi, alle caraffe d’acqua free, no bottiglie di plastica, diamine. Un po’ ho sofferto per il caffè ma ne ho fatto volentieri a meno vista la “contropartita”. E ancora, gli espositori, i momenti di socialità e il cibo, buono, davvero buono. Per non dire della Fahrradhaus, punto fisso di informazione, di incontro e scambio di culture della bicicletta, a due passi dal comune di Vienna.

 

L’elenco delle cose belle viste, delle cose imparate, dei suggerimenti e dei consigli sarebbe infinito. Viene naturale il confronto con la nostra sgangherata Penisola. Specie osservando, al rientro, la querelle della bici del nuovo sindaco di Roma e pensando al parlamentare europeo dei verdi tedeschi e alla sua naturalezza nel muoversi in bici, nonché alla sua conferenza illuminante. Per non dire, ancora, dell’organizzazione e delle persone eccezionali dello staff del Velo-City.

 

Per l’Italia eravamo in pochini, ma buoni, su. C’erano la Fiab e Ciclobby, gli amici di Cycle Magazine e rappresentanti di Città in bici da Ferrara. Paolo Pinzuti per Salvaiciclisti (tenete d’occhio il nuovo progetto Bikeitalia, nato dall’unione fra il suo Piciclisti, Bicisnob e Amico in Viaggio), Federico Spin di Re-Bike RomaInBici. E il vice sindaco nonché assessore alla Mobilità della città “campo-base” di Borracce di poesia (ossia Pescara e lui è Berardino Fiorilli).

 

Al rientro da Vienna, la prima sera per i racconti con gli amici, arrivato ad un locale sul lungomare, non trovavo posto per la bicicletta. Il tipo all’ingresso mi fa: “C’è un parcheggio dentro”. La prima cosa bella dell’estate. Ora scopro che un altro lido, nei prossimi giorni, inaugura un nuovo posteggio interno, realizzato proprio per i clienti che vanno al mare in bici. Il fine settimana, fermo restando che c’è sempre un delirio di macchine, che c’è chi pedala ancora sul marciapiede, che i pedoni non si sa perchè fanno grumo, appunto, sulla pista e ti rispondono pure brutto se gli fai notare che vabbè così non va, ho fatto una lunga pedalata sulla ciclabile che corre lungo la riviera. Ho perso il conto delle biciclette. Ho pensato a quando lì erano invece tutti motorini, neanche tanto tempo fa.

 

Ecco, ai vecchi e nuovi amici, oltre a ribadire il ringraziamento per aver supportato e sostenere Borracce di poesia, va il mio augurio di buon lavoro. Senza però quella che chiamo “sindrome del barbiere”.

 

Dunque, andare appunto dal barbiere per una rifilatina della barba è cosa bellissima e rilassante. Solo che ogni volta il tipo mi ammorbava con la storia “che io la bicicletta la odio, la usavo da ragazzo quando non potevo permettermi la macchina, ora vado solo con quella. Chi usa la bici è uno sfigato”. All’ultima ho sbottato e me ne sono andato con ancora tutta la schiuma in faccia. Il suo salone non c’è più, non so che fine abbia fatto. Gli avrei pagato il biglietto per Vienna, dove non ho sentito nessuno vantarsi altezzoso di usare la bici, di andare a piedi, di spostarsi con i mezzi pubblici. Dove, sì, qualcuno ha accennato al fatto che con la crisi la bici aiuta anche a risparmiare. Ma il punto non è tanto quello. E’ questo: “Sai, io mi sposto in bici”. Embè? 

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